Pagine

martedì 18 novembre 2014

Il tramonto del Medioevo: l'italia delle Signorie e la crisi dell'Impero e del Papato



SIGNORI, MERCANTI E RE: L’ITALIA DELLE SIGNORIE

Milano e Firenze
La crisi del Comune nasce dall’inadeguatezza delle istituzioni cittadine a tenere sotto controllo le continue lotte tra fazioni rivali. Perciò tra il XIII e XIV secolo i Comuni si diedero una nuova forma di governo che assicurasse una maggiore stabilità. Tutti i poteri furono assunti da un unico uomo: il SIGNORE. Il passaggio dal Comune alle Signorie si verificò in modi e tempi diversi nelle varie città: in alcuni casi avvenne pacificamente  e per volontà del popolo; in altri casi il signore prese il potere con la forza e con l’appoggio di una fazione cittadina.
MILANO: durante il XIII sec. era contesa tra guelfi e ghibellini. Alla meta del secolo, Martino della Torre, esponente dei guelfi, riuscì a farsi eleggere “anziano perpetuo del popolo”à era di fatto il promo signore a Milano. La signoria dei Della Torre non durò molto e perché la famiglia dei Visconti organizzò la riscossa dei ghibellini e riuscì ad ottenere il potere. Nella seconda metà del XIV secolo il potere della Signoria milanese raggiunse il suo culmine sotto la guida di Gian Galeazzo Visconti. L’imperatore nominò Gian Galeazzo principe, trasformando così la sua Signoria in Principato.
FIRENZE: a differenza di altri comuni italiani che si trasformarono ben presto in signorie o ducati, il comune di Firenze  sopravvisse fino alla fine del XIV secolo.  Firenze era una città molto ricca e potente, famosa in tutta Europa per il commercio  soprattutto di lane e tessuti. Nonostante la sua prosperità la città venne sconvolta dai continui scontri tra guelfi e ghibellini e , successivamente alla cacciata dai ghibellini dalla città, tra guelfi neri e guelfi bianchi (due fazioni legate a due diverse famiglie cittadine). Oltre ai guelfi bianchi e ai guelfi neri  a Firenze esisteva pure una suddivisione del popolo  in fazioni che rappresentavano i diversi interessi economici: popolo grasso (banchieri e grandi mercanti)popolo medio (mercanti e piccoli artigiani)  popolo minuto (lavoratori e contadini).  Per molti anni, nonostante le suddivisioni interne al Comune, Firenze riuscì ad autogovernarsi e ad avere un ruolo di prestigio in Europa e contendendo ai Visconti di Milano il controllo sulle città toscane minori. Tuttavia Il fallimento di alcune importanti famiglie fiorentine insieme al crescente malcontento dei lavoratori della lana (detti Ciompi) indebolirono la città. In questa situazione di emergenza alcune ricche famiglie si spartirono il governo della città dando vita ad una oligarchia (governo in cui i poteri sono concentrati nelle mani di pochi) che si sarebbe presto trasformata nella signoria della famiglia dei Medici.

Il sud Italia tra Angioini (Regno di Napoli) e Aragonesi (Sicilia)
Le città dell’Italia meridionale non divennero mai liberi comuni ma furono tenute sotto controllo da uno forte governo centrale, prima dei re normanni, poi dell’imperatore Federico II di Svevia e successivamente dei francesi (Carlo d’Angiò).  Federico II aveva lasciato il regno di Sicilia al figlio Manfredi (1250) che aveva intenzione di mettersi a capo di tutti i ghibellini della penisola. Il papa Clemente IV, intimorito, aveva chiesto aiuto al re francese Luigi IX  che prontamente aveva inviato in Italia in fratello Carlo d’Angiò. Manfredi e Carlo d’Angiò si affrontarono in battaglia a Benevento nel 1266. I francesi sbaragliarono le truppe di Manfredi, conquistando così il Regno di Sicilia. La capitale del regno venne trasferita dal Palermo a Napoli e  le tasse furono aumentate per pagare i debiti che i francesi avevano contratto per finanziare la spedizione in Italia. Il malcontento della popolazione siciliana nei confronti della dominazione francese esplose a Palermo nella rivolta dei Vespri e successivamente si diffuse in tutta la regione. I siciliani trovarono un alleato nel re di catalogna (regione della Spagna) che inviò Pietro d’Aragona in Sicilia a combattere contro gli angioini, che in poco tempo dovettero arrendersi e cedere la Sicilia agli Aragonesi (pace di Caltabellotta, 1302), mantenendo comunque il regno di Napoli.

Le Repubbliche di Genova e Venezia
Le due più potenti città marinare d’Italia non divennero mai Signorie, ma rimasero sempre due repubbliche. Per gestire le lotte tra fazioni rivali a GENOVA venne eletto un doge, la cui carica era vitalizia ma non ereditaria. VENEZIA invece  era caratterizzata da un sistema politico complesso ed equilibrato che permise alla città di rimanere indipendente fino al XVIII sec. Venezia era un’oligarchia pura, cioè un sistema di governo in cui poche famiglie aristocratiche detenevano il potere e amministravano la città attraverso alcuni organi di controllo,  per esempio il Maggior Consiglio, il Minor consiglio e il Consiglio dei dieci. Nonostante la sua equilibrata organizzazione anche Venezia nel XIII e XIV sec. dovette affrontare momenti di tensione che non portarono però a rilevanti conseguenze. VENEZIA E GENOVA entrarono in conflitto per il commercio marittimo: prima Genova ebbe la meglio, ma poi Venezia si riprese e costrinse la rivale a firmare la Pace di Torino (Genova si sarebbe concentrata sui commerci nel Mediterraneo occidentale e ulle rotte atlantiche;Venezia avrebbe mantenuto la supremazia nei traffici con l’Oriente)-
A oriente i Mongoli creano un grande impero.
Nel XIII sec. ,sotto la guida di Genghiz Khan, i Mongoli invasero la Cina e si spinsero fino al Medio Oriente, creando un vastissimo impero. L’orda mongola si fermò prima di invadere l’Europa occidentale. Quando cominciarono a formare un vero e proprio impero essi smisero di saccheggiare e razziare città e cominciarono a stringere accordi con i mercanti europei (si trovavano al centro della via della sete e delle spezie) e con le popolazioni locali.

LA CRISI DELL’IMPERO E DEL PAPATO
 
L’imperatore conta sempre meno
Tra i secoli XIII e XIV lo sviluppo delle autonomie cittadine in Italia, in Germania e nelle Fiandre (regione dell’attuale Belgio) mise a dura prova il Sacro Romano Impero. Infatti sembrava che l’autorità dell’imperatore contasse sempre meno. Dopo i tentativi di Fed I e Fed II di riprendere il controllo delle città italiane, un altro imperatore scese in Italia nel 1310: Enrico VII. Egli era appoggiato da chi sperava in un ritorno di un impero universale forte e compatto (città ghibelline come Milano e Verona), ma era osteggiato dal papa, dalle città guelfe e dal re di Napoli (Roberto d’Angiò).  La sua iniziativa si rivelò comunque fallimentare. Intanto l’imperatore continuava a perdere la sua autorità, che ormai si limitava al territorio tedesco; era quindi obbligato a mantenere buoni rapporti coi grandi feudatari tedeschi. Il risultato fu un graduale rafforzamento di questi ultimi. I grandi feudi divennero dei veri e propri principati. A questo punto i principi rivendicarono il diritto di eleggere da soli il proprio imperatore e fu così che Carlo IV emanò la bolla d’oro (1356), documento che conteneva i sette principi tedeschi che avevano il diritto di eleggere l’imperatore. Il titolo imperiale divenne così uno strumento attraverso il quale  le grandi famiglie tedesche affermavano il proprio potere in Germania.

I papi da Roma ad Avignone
L’episodio del papa Clemente IV che chiede aiuto ai Luigi IX di Francia contro Manfredi di Svevia (Carlo d’Angiò scende nel Regno di Sicilia e lo conquista)testimonia lo stretto legame che esisteva tra il papato e la monarchia francese. In realtà Il re francese aiutò il papà perché aveva un piano preciso: sperava di avere la concessione dal papa per tassare le proprietà del clero francese. Infatti tutte le proprietà ecclesiastiche godevano di immunità ed erano esenti dalle tasse. Il forte legame tra papato e monarchia francese si ruppe quando il re Filippo il Bello impose delle tasse sulle proprietà della Chiesa. La reazione del papa Bonifacio VIII fu immediata: egli scomunicò il re di Francia. Il re rispose facendo arrestare Bonifacio VIII e facendo eleggere un altro papa di suo gradimento, Clemente V. Quest’ultimo si rifiutò di trasferirsi a Roma e nel 1309 spostò la sede papale ad Avignone(nella Francia meridionale). Il periodo in cui la sede papale rimase ad Avignone viene definito cattività avignonese. Fu un periodo di profonda crisi per la Chiesa occidentale che cessò nel 1377 con l’elezione del papa Gregorio XI, il quale riporto la sede papale a Roma.
Il ritorno dei papi a Roma non mise fine alla crisi; infatti il clero francese non accettò l’elezione di un papa italiano ed elesse un altro pontefice, che si stabilì ad Avignone. Per mezzo secolo ci furono due papi uno a Roma e uno ad Avignone(il papa vs l’antipapa). Questa divisione della cristianità è chiamata scisma d’Occidente. Il concilio di Costanza del 1414 depose i 2 papi ed elesse Martino V, che tornò ad essere l’unico punto di riferimento di tutto il mondo cattolico.

Gli Stati europei: guida allo studio

Inserisco per i miei alunni di 2°B la mappa che dovrà essere stampata e compilata  per ogni Stato dell'unione europea che studieremo nel corso dell'anno.
Buon lavoro!


Mappa Stati europei da stampare e compilare

domenica 18 maggio 2014

L'Oceania



L'Oceania

Ecco la presentazione dell'Oceania di cui discuteremo domani in classe. Buona lettura! A domani.

venerdì 2 maggio 2014

America centrale e Messico





I HAVE A DREAM (M.L. KING)

Cinquant’anni fa, il 28 agosto 1963 a conclusione di una marcia sui diritti civili a Washington, Martin Luther King tenne il suo famoso discorso «I have a dream».




Un'importante testimonianza di un grande uomo, che ha dedicato la sua vita ed è morto per realizzare un sogno. Il sogno di un mondo in cui tutti gli uomini siano uguali e fratelli; un mondo in cui tutti abbiano gli stessi diritti e possano vivere in pace e armonia. Negli USA  la schiavitù venne abolita nel 1865 dal presidente Abramo Lincoln, ,ma continuarono ad esistere condizioni di discriminazione nei confronti della popolazione nera americana fino agli anni '60. Martin luther king è considerato una delle figure più carismatiche della lotta contro la segregazione razziale, premio Nobel per la pace nel 1964, il suo ruolo fu decisivo per l'approvazione negli Stati Uniti della legge sui diritti civili. Arrestato più volte per la sua attività, subì varie aggressioni e infine fu ucciso a Memphis il 4 aprile del 1968.


I have a dream

di Martin Luter King

"Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più grande dimostrazione per la libertà nella storia del nostro paese. Cento anni fa un grande americano, alla cui ombra ci leviamo oggi, firmò il Proclama sull’Emancipazione. Questo fondamentale decreto venne come un grande faro di speranza per milioni di schiavi negri che erano stati bruciati sul fuoco dell’avida ingiustizia. Venne come un’alba radiosa a porre termine alla lunga notte della cattività.

Ma cento anni dopo, il negro ancora non è libero; cento anni dopo, la vita del negro è ancora purtroppo paralizzata dai ceppi della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il negro ancora vive su un’isola di povertà solitaria in un vasto oceano di prosperità materiale; cento anni dopo; il negro langue ancora ai margini della società americana e si trova esiliato nella sua stessa terra.

Per questo siamo venuti qui, oggi, per rappresentare la nostra condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti alla capitale del paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della repubblica scrissero le sublimi parole della Costituzione e la Dichiarazione d’Indipendenza, firmarono un "pagherò" del quale ogni americano sarebbe diventato erede. Questo "pagherò" permetteva che tutti gli uomini, si, i negri tanto quanto i bianchi, avrebbero goduto dei principi inalienabili della vita, della libertà e del perseguimento della felicità.

È ovvio, oggi, che l’America è venuta meno a questo "pagherò" per ciò che riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo suo sacro obbligo, l’America ha consegnato ai negri un assegno fasullo; un assegno che si trova compilato con la frase: "fondi insufficienti". Noi ci rifiutiamo di credere che i fondi siano insufficienti nei grandi caveau delle opportunità offerte da questo paese. E quindi siamo venuti per incassare questo assegno, un assegno che ci darà, a presentazione, le ricchezze della libertà e della garanzia di giustizia.

Siamo anche venuti in questo santuario per ricordare all’America l’urgenza appassionata dell’adesso. Questo non è il momento in cui ci si possa permettere che le cose si raffreddino o che si trangugi il tranquillante del gradualismo. Questo è il momento di realizzare le promesse della democrazia; questo è il momento di levarsi dall’oscura e desolata valle della segregazione al sentiero radioso della giustizia.; questo è il momento di elevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale alla solida roccia della fratellanza; questo è il tempo di rendere vera la giustizia per tutti i figli di Dio. Sarebbe la fine per questa nazione se non valutasse appieno l’urgenza del momento. Questa estate soffocante della legittima impazienza dei negri non finirà fino a quando non sarà stato raggiunto un tonificante autunno di libertà ed uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un inizio. E coloro che sperano che i negri abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi se ne staranno appagati, avranno un rude risveglio, se il paese riprenderà a funzionare come se niente fosse successo.

Non ci sarà in America né riposo né tranquillità fino a quando ai negri non saranno concessi i loro diritti di cittadini. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione fino a quando non sarà sorto il giorno luminoso della giustizia.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste.

Cerchiamo di non soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla coppa dell’odio e del risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle maestose vette di chi risponde alla forza fisica con la forza dell’anima.

Questa meravigliosa nuova militanza che ha interessato la comunità negra non dovrà condurci a una mancanza di fiducia in tutta la comunità bianca, perché molti dei nostri fratelli bianchi, come prova la loro presenza qui oggi, sono giunti a capire che il loro destino è legato col nostro destino, e sono giunti a capire che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra libertà. Questa offesa che ci accomuna, e che si è fatta tempesta per le mura fortificate dell’ingiustizia, dovrà essere combattuta da un esercito di due razze. Non possiamo camminare da soli.

E mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro. Ci sono quelli che chiedono a coloro che chiedono i diritti civili: "Quando vi riterrete soddisfatti?" Non saremo mai soddisfatti finché il negro sarà vittima degli indicibili orrori a cui viene sottoposto dalla polizia.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, stanchi per la fatica del viaggio, non potranno trovare alloggio nei motel sulle strade e negli alberghi delle città. Non potremo essere soddisfatti finché gli spostamenti sociali davvero permessi ai negri saranno da un ghetto piccolo a un ghetto più grande.

Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono:"Riservato ai bianchi".

Non potremo mai essere soddisfatti finché i negri del Mississippi non potranno votare e i negri di New York crederanno di non avere nulla per cui votare. No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo saremo finché la giustizia non scorrerà come l’acqua e il diritto come un fiume possente. 

Non ha dimenticato che alcuni di voi sono giunti qui dopo enormi prove e tribolazioni. Alcuni di voi sono venuti appena usciti dalle anguste celle di un carcere. Alcuni di voi sono venuti da zone in cui la domanda di libertà ci ha lasciato percossi dalle tempeste della persecuzione e intontiti dalle raffiche della brutalità della polizia. Siete voi i veterani della sofferenza creativa. Continuate ad operare con la certezza che la sofferenza immeritata è redentrice.

Ritornate nel Mississippi; ritornate in Alabama; ritornate nel South Carolina; ritornate in Georgia; ritornate in Louisiana; ritornate ai vostri quartieri e ai ghetti delle città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare, e cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella valle della disperazione.

E perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi!

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.

Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.

Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.

Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.

Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.

Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.

Ma non soltanto.

Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.

Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.

Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente". 

martedì 29 aprile 2014

Presentazione del continente americano

Presentazione America


Luigi Pirandello

Alla scoperta dell'uomo dai "mille volti". Buono studio!



Potrete anche scaricare da questo link http://www.mindmaple.com/ il programma gratuito che ho usato per la costruzione della mappa. E' abbastanza facile e intuitivo. Provate anche voi. per qualsiasi problema lasciate un commento e sarò lieta di rispondere alle vostre domande.