In classe abbiamo cominciato a studiare Leopardi e il suo pensiero filosofico. In primis, inserisco una lettura de L'infinito di Leopardi eseguita da un celebre attore di teatro, Giorgio Albertazzi, in modo che possiate esercitarvi e avere un'idea di come si debba recitare una poesia.;-)
Proseguo cercando di spiegare, nella maniera più chiara e semplice possibile, quali siano i capisaldi del pensiero leopardiano, di cui abbiamo cominciato a discutere durante la lezione in classe.
Al centro della meditazione di Leopardi si pone l’infelicità dell’uomo.
Egli individua la causa prima in alcune pagine dello
Zibaldone. Identifica la felicità con il piacere sensibile e materiale.
L’uomo aspira a un piacere infinito, ma, dato che nessuno dei piaceri
particolari goduti dall’uomo può soddisfare questa esigenza, nasce in
lui un senso di insoddisfazione perenne. Da questa tensione
inappagata nasce l’infelicità dell’uomo e il senso della nullità di tutte
le cose. L’uomo è dunque
necessariamente infelice. La natura, che in questa prima fase è
concepita da Leopardi come madre benigna, ha voluto sin dalle origini
offrire un rimedio all’uomo: l’immaginazione e le illusioni.
La poetica del vago e indefinito
La teoria del piacere è fondamentale nel pensiero leopardiano: è il nucleo della sua filosofia pessimistica e della sua poetica.
Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l’uomo può
figurarsi i piaceri infiniti mediante l’immaginazione. La realtà
immaginata costituisce la compensazione, l’alternativa ad una realtà
vissuta che non è che infelicità e noia. Ciò che stimola l’immaginazione
è tutto ciò che è vago, indefinito, lontano, ignoto. Si viene a
costruire una vera e propria teoria della visione: è piacevole,
per le idee vaghe e indefinite che suscita, la vista impedita da un
ostacolo (cfr.la siepe de L'infinito). Leopardi elenca tutta una serie di visioni e suoni suggestivi in quanto
vaghi e indefiniti. Il bello poetico per Leopardi consiste dunque nel vago e
nell’indefinito, queste immagini evocano sensazioni che ci hanno
affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene essenziale al
sentimento poetico. Indefinito e rimembranza si fondono: la poesia non è che il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la memoria. Leopardi nella sua produzione in versi segue puntualmente la poetica del vago e dell’indefinito.
Ricapitolando:
- L'uomo, per sua natura, tende ad un piacere infinito che appare di per sè impossibile da raggiungere:
- La Natura ha dotato l'uomo dell'immaginazione per figurarsi piaceri infiniti; e questa realtà illusoria costituisce una compensazione alla realtà infelice.
- Ciò che stimola a costruire questa realtà parallela sono gli aspetti vaghi e indefiniti del reale (suoni, visioni...)
- Il Bello poetico consiste nella scelta di tali sensazioni indefinite
- La poetica del vago e dell'indefinito si fonde con la poetica della rimembranza; infatti le suggestioni del vago e dell'indefinito altro non sono che il ricordo di quelle provate durante la fanciullezza.
Dallo Zibaldone , le parole di Leopardi sulla teoria del piacere:
[165-172] Il sentimento della nullità di tutte le cose, la
insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l'animo, e la tendenza
nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una
cagione semplicissima, e più materiale che spirituale.
L'anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera
sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille aspetti, al
piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt'uno col piacere.
Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perch'è ingenita o congenita
coll'esistenza, e perciò non può aver fine in questo o quel piacere che non può
essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha limiti 1. né per
durata, 2. né per estensione. Quindi non ci può essere nessun piacere che
uguagli 1. né la sua durata, perché nessun piacere è eterno, 2. né la sua
estensione, perché nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che
tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia circoscritto.
Il detto desiderio del piacere non ha limiti per durata,
perché, come ho detto non finisce se non coll'esistenza, e quindi l'uomo non
esisterebbe se non provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione perch'è
sostanziale in noi, non come desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio
del piacere. Ora una tal natura porta con se materialmente l'infinità, perché
ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere la cui estensione è
indeterminata, e l'anima amando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta
l'estensione immaginabile di questo sentimento, senza poterla neppur concepire,
perché non si può formare idea chiara di una cosa ch'ella desidera illimitata.
Veniamo alle conseguenze. Se tu desideri un cavallo, ti pare
di desiderarlo come cavallo, e come un tal piacere, ma in fatti lo desideri come
piacere astratto e illimitato. Quando giungi a possedere il cavallo,trovi un
piacere necessariamente circoscritto, e senti un vuoto nell'anima, perché quel
desiderio che tu avevi effettivamente, non resta pago. Se anche fosse possibile
che restasse pago per estensione, non potrebbe per durata, perché la natura
delle cose porta ancora che niente sia eterno. E posto che quella material
cagione che ti ha dato un tal piacere una volta, ti resti sempre (p.e. tu hai
desiderato la ricchezza, l'hai ottenuta, e per sempre), resterebbe
materialmente, ma non più come cagione neppure di un tal piacere, perché questa
è un'altra proprietà delle cose, che tutto si logori, e tutte le impressioni
appoco a poco svaniscano, e che l'assuefazione, come toglie il dolore, così
spenga il piacere.
Aggiungete che quando anche un piacere provato una volta ti
durasse tutta la vita, non perciò l'animo sarebbe pago, perché il suo desiderio
è anche infinito per estensione, così che quel tal piacere quando uguagliasse la
durata di questo desiderio, non potendo uguagliarne l'estensione, il desiderio
resterebbe sempre, o di piaceri sempre nuovi, come accade in fatti, o di un
piacere che riempiesse tutta l'anima.
Quindi potrete facilmente concepire come il piacere sia cosa
vanissima sempre, del che ci facciamo tanta maraviglia, come se ciò venisse da
una sua natura particolare, quando il dolore la noia ec. non hanno questa
qualità. Il fatto è che quando l'anima desidera una cosa piacevole, desidera la
soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non
un tal piacere; ora nel fatto trovando un piacere particolare, e non astratto, e
che comprenda tutta l'estensione del piacere, ne segue che il suo desiderio non
essendo soddisfatto di gran lunga, il piacere appena è piacere, perché non si
tratta di una piccola ma di una somma inferiorità al desiderio e oltracciò alla
speranza.
E perciò tutti i piaceri debbono esser misti di dispiacere,
come proviamo, perché l'anima nell'ottenerli cerca avidamente quello che non può
trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio
illimitato.
4 commenti:
Stella stellina la notte si avvicina!
Chi si diverte a fare questi commenti ricchi di nonsense? Mi costringete a non consentire i commenti da parte di anonimo. Così tutti sarete costretti a registrarvi.
Chiaramente so anche chi sei...lo spazio dei commenti serve per sciogliere eventuali dubbi o per rivolgere domande alla prof. o ai compagni! evitiamo di scrivere troppe stupidaggini! Grazie
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